L’Iran, con il suo consueto mix di orgoglio persiano e pragmatismo da bazar, si è seduto al tavolo dei colloqui con Russia e Cina, sperando di trovare due solidi alleati pronti a sostenerlo contro l’Occidente e i suoi vicini troppo zelanti. Ma, sorpresa delle sorprese, il banchetto diplomatico si è rivelato più una cena di avanzi freddi, con Mosca e Pechino che hanno servito all’Iran una porzione abbondante di realpolitik e un garbato “arrangiatevi”. Teheran ha scoperto che, anche gli amici più fidati, possono lasciare il conto da pagare.
Iran e la Russia: “Fratello, ma non troppo”
L’Iran, si è presentato a Mosca con il cuore aperto e il dossier nucleare sottobraccio, pronto a rievocare i tempi gloriosi in cui droni iraniani e missili russi danzavano insieme nei cieli di conflitti lontani. Ma Vladimir Putin, tra un sorso di vodka e una scrollata di spalle, ha fatto capire che il Cremlino ha già abbastanza grattacapi con l’Ucraina e un’economia che cigola come un carro armato sovietico. “Caro Masoud,” sembra aver detto, “il tuo programma nucleare è affascinante, ma non proprio una priorità per noi.” La Russia, alle prese con sanzioni e un fronte interno che scricchiola, ha gentilmente declinato l’idea di fare da scudo all’Iran contro le ire di Israele o degli USA. Al massimo, ha promesso qualche vaghezza su “cooperazione strategica” e un paio di Sukhoi di seconda mano, ma solo se Teheran paga in contanti.
Esito per l’Iran: un sorrisetto di circostanza e la promessa di “continuare il dialogo”. Traduzione: l’Iran è tornato a casa con un pugno di mosche e la consapevolezza che, per Putin, l’amicizia è un lusso che si misura in barili di petrolio e non in solidarietà anti-occidentale.
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Iran e la Cina: “Facciamo affari, non rivoluzioni”
Spostandosi a Pechino, l’Iran ha provato a giocare la carta del “fronte comune contro l’egemonia americana”, sperando che Xi Jinping, con il suo sguardo impenetrabile, annuisse con entusiasmo. Invece, la Cina ha accolto Teheran con la freddezza di un funzionario doganale alle prese con una valigia sospetta. Pechino, che pure compra petrolio iraniano a prezzi da saldo, non ha alcuna intenzione di infilarsi nel ginepraio mediorientale per difendere un regime che, diciamolo, non brilla per stabilità. “Caro amico,” ha sussurrato Xi (o meglio, il suo portavoce), “la Via della Seta è aperta, ma non include deviazioni per guerre regionali o sanzioni extra.” La Cina ha ribadito il suo sostegno al “dialogo” e alla “stabilità”, ma ha chiarito che non alzerà un dito per proteggere l’Iran da ritorsioni militari o diplomatiche. Al massimo, ha offerto un altro contratto per costruire un porto, ovviamente con manodopera cinese.
Esito per l’Iran: un altro brindisi a base di tè verde e vaghe promesse di “partnership”. In pratica, Teheran ha capito che per la Cina l’Iran è un utile fornitore di greggio, non un alleato da coccolare in caso di guai.
Iran, il solitario del Medio Oriente
E così, l’Iran si ritrova a fare i conti con una verità scomoda. Anche i compagni di viaggio più ideologicamente affini hanno i loro problemi e, sorpresa, non vedono l’ora di scaricarti alla prima occasione. Russia e Cina, pur mantenendo un tono cordiale, hanno mandato un messaggio chiaro: “Teheran, sei grande e grosso, risolvitela da solo.” I colloqui, conditi da sorrisi diplomatici e comunicati stampa pieni di nulla, non hanno prodotto alcun impegno concreto per sostenere il regime iraniano, né sul piano militare né su quello economico. L’Iran, con il suo spazio aereo chiuso fino al 25 giugno 2025 e un programma nucleare sotto attacco, si ritrova a dover giocare una partita a scacchi con metà dei pezzi mancanti.
Conclusione
L’Iran ha imparato, a sue spese, che in geopolitica non esistono pranzi gratis, nemmeno tra “amici”. Russia e Cina, con il loro elegante distacco, hanno lasciato Teheran a meditare su un proverbio persiano: “Fidati di Allah, ma lega bene il cammello”. Peccato che il cammello, in questo caso, sembri già scappato.